I soldati italiani che presidiavano l’isola di Cefalonia costituivano un campione rappresentativo dei loro connazionali: vi erano, infatti, fascisti e antifascisti, ma anche, e soprattutto, tanti uomini stanchi della guerra e desiderosi soltanto di tornare alle proprie case. Questa moltitudine così disomogenea si compattò nella lotta contro i tedeschi, dando origine ad un evento che gli storici hanno al tempo stesso sopravvalutato e sottovalutato.
Certamente è stato sopravvalutato il numero delle vittime, spesso indicate in 9.000 uomini, cifra notevolmente ridimensionata da ricerche svolte negli ultimi anni. È stato invece sottovalutato il valore simbolico del sacrificio dei fanti della Acqui, troppo spesso analizzato attraverso le categorie convenzionali della guerra civile, inadatte a descrivere il fatto: a Cefalonia, infatti, combatterono uno a fianco all’altro uomini che in Italia si sarebbero trovati su fronti opposti.
I soldati della Divisione Acqui giunsero ad un passo dal dividersi, ma scongiurarono lo scontro fratricida scoprendo nella lotta comune contro i tedeschi il modo di salvaguardare il proprio onore e quello del proprio Paese. L’ordine del Comando Supremo di opporsi con la forza alle pretese tedesche fu dunque accolto con straordinario entusiasmo dall’intera Divisione. Prova inequivocabile della comune volontà di battersi si evince dal fatto che quei soldati, mal equipaggiati e senza alcun supporto, impegnarono il più potente esercito di quei tempi in uno scontro che il comandante germanico definì «difficile e violento».
L'autore
Silvio Olivero è nato a Torino nel 1969.
Laureato in economia e commercio, in 25 anni di vita lavorativa ha sempre operato in campo finanziario. Attualmente è responsabile ricerca e analisi presso una primaria società di intermediazione mobiliare italiana.
Sposato con Simonetta è papà di Lorenzo e di Eugenio.
Si è dedicato allo studio della vicenda di Cefalonia animato dalla volontà di comprendere le ragioni che spinsero gli uomini della Divisione Acqui a chiedere a gran voce al proprio comandante di combattere, proprio mentre l’esercito italiano si stava dissolvendo.
Suo nonno, il capitano Camillo Ciarlini, apparteneva allo Stato Maggiore della Acqui, fu uno dei primi sostenitori della necessità di rifiutare la cessione delle armi, prese parte attiva ai combattimenti e venne fucilato sul campo di battaglia il 22 settembre 1943.
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SKU: ISBN 9788832871982
€ 15,00Prezzo
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